La linea del tempo non è altro che una metafora. Molto spesso gli psicoterapeuti affermano che l’obiettivo della terapia non è risolvere il problema bensì “imparare a conviverci”, in quanto ciò che è passato è passato e non ci si può più far nulla.
Questo modo di pensare adombra un presupposto e cioè che vi sia qualcosa di obiettivo in ciò che chiamiamo “passato”: è un po’ come affermare che vi siano “fatti” che in quanto tali, una volta cioè accaduti, non possono essere più modificati.
Ammettiamo che il problema del mio cliente abbia avuto origine da un remoto episodio, quando suo padre lo apostrofò con “Sei un buono a nulla”.
Poniamo che attualmente egli soffra a causa di bassa autostima, effetto sgradito di quell’episodio che ha costituito per lui un imprinting sul piano dell’identità: tale episodio, anche se si è protratto solo per pochi istanti, ha prodotto effetti duraturi nel tempo.
Questo implica il passaggio dal livello percettivo, riguardante quei pochi istanti, al livello rappresentativo che appare stabile nel tempo.
La domanda a questo punto è: attraverso l’intervento terapeutico cosa mi propongo di cambiare nel mio cliente? La percezione di quell’episodio o la sua rappresentazione.
Se mi propongo di cambiare la percezione di quell’evento mi pongo un obiettivo veramente irrealizzabile, in quanto, si può ben dire, il passato è passato e non ritornerà mai più.
I suoi occhi non potranno mai più vedere cosa accadde né le sue orecchio potranno ascoltarlo. Ma se mi propongo di cambiare le rappresentazioni che rendono attuale quell’episodio e che fanno sussistere il problema, questo potrà tranquillamente essere fatto, perciò egli non dovrà accontentarsi di accettare il suo problema, semplicemente imparare a conviverci, perché potrà risolverlo.
Purtroppo noi non ci rendiamo costo di creare il nostro passato ogni volta che sappiamo di averne uno: se ci accorgessimo di questo fatto potremo, la mille e una volta, farlo in maniera da soddisfare le nostre esigenze piuttosto che rafforzare l’antico problema.
Non c’è a livello sensoriale, in qualsivoglia situazione, alcunché che possa essere definito un problema in assoluto: ciò che è un dramma per l’uno è un semplice accadimento, del tutto insignificante, per l’altro. La differenza la determiniamo noi ogniqualvolta ricreiamo il nostro passato, nel momento in cui, in modo del tutto inconsapevole, vi attribuiamo significato.
Questo è il motivo che ci permette di affermare che la principale risorsa in nostro possesso ed al servizio del cambiamento è l’immaginazione: nulla di ciò che vediamo attorno a noi, al di fuori dei doni elargitici da Madre Natura, esisterebbero senza che qualcuno l’avesse prima immaginato.
Ancora una volta, il 99% dei nostri problemi è di natura rappresentativa piuttosto che percettiva: se qualcuno in questo preciso momento mi sta dando delle bastonate sulla testa si tratterà per me di un problema percettivo, sensoriale, la cui unica soluzione è fare in modo che tale comportamento cessi immediatamente.
La percentuale dei problemi di natura rappresentativa sale al 100% quando parliamo di problemi connessi al passato: in questo caso possiamo essere certi che si tratti di pura rappresentazione e quindi di poterli affrontare.
Nel momento in cui ci raffiguriamo visivamente il flusso del tempo – distribuendo le rappresentazioni dei vari eventi nello spazio fisico attorno a noi e ponendole su una linea dritta o curva – ricodifichiamo la dimensione temporale in termini spaziali, il che ci permette di fare una cosa molto interessante e soprattutto molto utile: se nel tempo non possiamo viaggiare nello spazio ciò è invece possibile.
Una delle trappole che l’uomo costruisce per se stesso è prendere le esperienze negative del passato e trasportarle nel presente e nel futuro: in tal modo il passato diventa la scuola per apprendere errori che saranno ripetuti, ciò che Freud ha definito “coazione a ripetere”, il che si verifica attraverso quel meccanismo di modellamento che è la generalizzazione.
Il meccanismo di organizzazione del comportamento sulla base delle tre dimensioni temporali, passato, presente e futuro – connesse a memoria e immaginazione, è stato così descritto sempre da Henri Laborit, già precedentemente citato come uno dei massimi biologi viventi:
“L’organizzazione dell’azione avviene a tre livelli. Il primo, il più primitivo, attraverso una stimolazione interna e/o esterna, organizza l’azione in modo automatico, senza capacità di adattamento. Il secondo organizza l’azione tenendo conto dell’esperienza precedente grazie alla memoria della qualità piacevole o spiacevole, utile o nociva, della sensazione che ne è derivata. Il terzo livello è quello del desiderio. È legato alla costruzione immaginaria che anticipa il risultato dell’azione e la strategia da impiegare per assicurare l’azione gratificante o quella che evita lo stimolo nocicettivo. Il primo livello ricorre solo a un procedimento presente, il secondo aggiunge all’azione presente l’esperienza del passato, il terzo risponde al presente, grazie all’esperienza passata, anticipando il risultato futuro” (Laborit, 1982, 19-20).
Da quanto afferma Laborit e in relazione alla scansione temporale, il processo di cambiamento si può attuare attraverso:
- il passato, il che corrisponde alla focalizzazione sul problema,
- il futuro, il che corrisponde alla focalizzazione sulla soluzione.